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Associazione Archès

L’antico approdo di Torre San Gregorio (Patù)

di Marco Cavalera

Ricerche e scavi

Le valenze archeologiche di Torre S. Gregorio sono note grazie alle indagini condotte nell’estate del 1971 da Cosimo Pagliara; in quell’occasione furono eseguiti, da un gruppo di sommozzatori che collaborava con la missione britannica di P. Throckmorton, la prospezione subacquea ed il recupero di materiale giacente sui fondali dell’insenatura.

Baia di San Gregorio vista da Sud. 

Più recentemente sono state effettuate ricognizioni e rilievi a  mare e a terra nel corso del programma di ricerca del Prog. Strat. C.N.R. – Università di Lecce 251100 – Unità Operativa 2 e dell’insegnamento di Archeologia Subacquea dell’Università di Lecce.

Baia di San Gregorio vista da Nord. 

L’antico approdo di Vereto

Il suo centro interno di riferimento era Vereto, intorno al quale erano piuttosto diffusi gli insediamenti rustici in età romana[1]. L’antica Veretum era collegata al suo porto attraverso l’attuale via vicinale di Volito[2].

  Via vicinale di Volito.

La baia era ben protetta dai venti dei quadranti settentrionali, orientali e meridionali e fornita di sorgenti. La presenza di queste ultime fu certamente un elemento che ha condizionato la scelta del luogo dove impiantare la struttura portuale. Lo storico locale Tasselli – alla fine del ‘600 – a proposito delle sorgenti di acqua dolce di Torre S. Gregorio, scriveva: “da un Canale trà le Torri di San Gregorio, e del Martello (Torre Marchiello), un’acqua la migliore di tutte somministrata à tutti da un Pozzo, che i Paesani dicono di Olito[3].

Pozzo di Volito. 

Le evidenze sommerse

I fondali dell’insenatura di Torre S. Gregorio presentano numerose ed interessanti evidenze archeologiche, la più importante delle quali è l’opera frangiflutti posta perpendicolarmente al fianco meridionale dell’insenatura, all’imboccatura della baia (orientata in direzione SE-NO). Si tratta di una costruzione a “pietre perse” che aveva la funzione di proteggere il bacino dai venti meridionali[4].

Attualmente si presenta come un aggere con profilo interno a scarpa, costituito da pietrame proveniente forse da una cava locale, delle seguenti dimensioni: 50 metri larghezza, 80 metri lunghezza. Il fianco esterno risulta molto intaccato dall’azione dei marosi, mentre quello interno è meglio conservato e mantiene un notevole grado di inclinazione.

In alcuni tratti la sua altezza, dal piano di posa, è di due metri, mentre la cresta si trova mediamente a 2,30 metri di profondità. Se si considera che il dorso della struttura doveva affiorare (se non emergere), tenendo conto dell’azione del mare che ha spazzato la sua parte sommitale, si può ipotizzare un innalzamento del livello del mare pari a 1,50 – 2 metri[5].

La grande opera antemuraria di Torre S. Gregorio presenta uno stretto parallelo morfologico con quella coeva di Saturo (Taranto).

Per quanto riguarda la sua datazione, la presenza di frammenti fittili di età ellenistica e/o tardorepubblicana tra il pietrame e sulla superficie dell’antemurale suggerisce una contemporaneità con le evidenze a terra.

Le evidenze a terra

Le vestigia archeologiche sono visibili alla base del ripido pendio che porta all’insenatura. Si tratta di due tratti di fondazioni o camminamenti di servizio all’approdo, entrambi in blocchi di carparo.

Il primo è ubicato sul declivio, perpendicolarmente alla linea di costa, lungo il costone meridionale del canalone che continua sotto il livello del mare.

Resti di strutture di servizio dell’approdo (primo allineamento).

Il secondo allineamento è parallelo alla linea di costa. Il tratto conservatosi è costituito da cinque conci su due filari non uniformi. Circa sei metri più a sud-ovest si nota il “negativo” di un blocco cavato o asportato, e un altro blocco isolato, disposto di taglio e con lo stesso orientamento del tratto descritto. Potrebbe trattarsi dei resti smembrati di un allineamento molto più consistente, che fiancheggiava la riva meridionale dell’insenatura seguendo un percorso più o meno rettilineo a quota 2,5 metri s.l.m.

Resti di strutture di servizio dell’approdo (secondo allineamento).

Le strutture di servizio per l’approdo sono state datate al II sec. a.C. grazie al rinvenimento, sotto i blocchi di fondazione, di alcune monete della zecca di Durazzo coniate tra il 238 e il 168 a.C.

Questo ritrovamento non è casuale. Infatti, dopo la conclusione della seconda guerra punica ed il declino definitivo di Taranto, Brindisi avrà la leadership economica del Salento. I contatti tra le due sponde dell’Adriatico si fanno ben più intensi, specie tra gli importanti terminali di Brindisi e Durazzo. Vengono, in questa fase, ad usufruire dell’incremento di traffici e scambi anche i centri minori, sia dell’Epiro che del Salento (ad esempio Torre S. Gregorio), che dispongono di scali e possono così assorbire parte del movimento di merci e persone.

Procedendo verso ovest, cioè verso la punta del promontorio, si incontra un pozzo di acqua dolce, mentre una sorgente si trova presso la riva.

Pozzo di acqua dolce. 

Immediatamente alle spalle della baia (nella parte alta del promontorio), in località Fangara, era ubicata una cisterna-deposito di forma rettangolare – scavata nel banco di roccia – che presentava una ripida scala che conduceva al fondo unitamente a tracce di intonaco grossolano sulle pareti[6]. Tra il materiale di riempimento vi erano dei frammenti di anfore, alcuni dei quali bollati.

Le rotte

La baia dovette essere frequentata, a partire dall’età messapica, da navi che percorrevano la rotta Grecia-Italia attraverso Corcira, il basso Adriatico e il Capo Iapigio. Il piccolo porto messapico subì delle profonde trasformazioni in età tardorepubblicana, quando furono realizzate le strutture di servizio per l’approdo.

Note

[1] Vereto, secondo Pagliara, aveva in età storica due porti: Torre S. Gregorio sarebbe stato lo scalo vero e proprio, a carattere mercantile, mentre Leuca era piuttosto “luogo di sosta per natanti impegnati su rotte che avevano termine in porti lontani, sicchè la loro presenza può essere valutata come testimoniante consuetudini cultuali proprie di naviganti” e si configura come “santuario emporico” (luogo indigeno frequentato da Greci) ossia approdo connesso a luoghi di culto  (Daquino 1991; Auriemma 2003, p. 142; Auriemma 2004, p. 275).

[2] Lungo questa strada, nella proprietà di M.A. Pedone (f.° 7 part. 16) sono venute alla luce “resti di interesse archeologico”: Archivio Soprintendenza Archeologica della Puglia – Corrente – b. Patù 1992 (Auriemma 2004, p. 286).

[3] Tasselli 1859. Ancora oggi da questo pozzo, denominato Volito, sgorga acqua dolce alla profondità di 5 metri (Daquino 1991).

[4] Pagliara, nel 1971, ha condotto alcune indagini sulla struttura in oggetto, a conclusione delle quali ha scritto: “l’elemento più notevole sott’acqua è il vestigio di un molo flangiflutti, ottenuto, a quel che è dato vedere, con l’accumulo di pietrame della zona per una gettata di mt. 70 a partire dalla riva. Il moto ondoso ha abbattuto completamente le parti emergenti in antico, sicchè oggi il molo si presenta come una secca piuttosto pericolosa per chi intenda entrare nella cala doppiando il capo da SE” (Pagliara 1969-71, p. 129).

[5] Auriemma 2003, pp. 136; Auriemma 2004, pp. 279-280.

[6] Don Vincenzo Rosafio aveva fornito le misure in metri della struttura: profondità 3,50, lunghezza 4, larghezza 3. Vi erano inoltre sette blocchi monolitici di copertura (Rosafio 1968).

Bibliografia:

Archeoclub D’Italia. Sede Vereto, Itinerario storico-archeologico tra Giuliano e Patù. Guida fotografica, Galatina (Le), 2002.

Auriemma R., Archeologia della costa salentina: l’approdo di Torre S. Gregorio, in Studi d’Antichità, XI, pp. 127-148, Martina Franca (Ta), 2003.

Auriemma R., Salentum a Salo. Porti, approdi, merci e scambi lungo la costa adriatica del Salento (Volume primo), pp. 278-286, Galatina (Le), 2004.

Cavalera M., Tesi di Laurea Specialistica in Archeologia “Archeologia del Paesaggio costiero tra Lido Marini (Ugento) e Torre S. Gregorio (Patù)”, relatrice prof.ssa Rita Auriemma, Anno Accademico 2007-2008.

Cavalera M., Antica Messapia. Popoli e luoghi del Salento meridionale nel I millennio a.C., Modugno (Ba), 2010.

D’Andria F.,  L’esplorazione archeologica, in Leuca, p. 47, Galatina (Le), 1978.

Larva L., Messapia. Terra tra due Mari, p. 273, Galatina (Le), 2010.

Pagliara C., Fonti per la storia di Veretum: iscrizioni, monete, timbri anforari, in Annali Università di Lecce, 5, pp. 121-136, Lecce, 1969-71.

Sammarco M., Vereto: appunti di topografia, in Ciardo M., Torsello S. (a cura di), Studi in onore di Antonio Michele Ferraro, pp. 53-65, Tricase (Le), 2008.

Per approfondimenti:

https://www.associazionearches.it/le-dinamiche-insediative-del-salento-meridionale-in-eta-romana/

https://www.associazionearches.it/acqua-dalle-rocce-il-canale-volito-patu/

https://www.associazionearches.it/vereto-antica-citta-messapica-tra-le-pietre-e-gli-ulivi-dellomonima-serra/